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DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI NELLE SOCIETA' DI PERSONE: REGOLE, LIMITI E RISCHI NASCOSTI

La normativa civilistica che disciplina la distribuzione degli utili nelle società di persone è più snella rispetto a quella per le società di capitali. Ai sensi dell’art. 2261 c.c., il risultato economico della società viene definito nel rendiconto redatto dagli amministratori. Secondo l’art. 2262 c.c., salvo patto contrario (definibile tramite consenso unanime o con clausola nel contratto sociale), ogni socio ha diritto a percepire la propria quota di utili solo dopo l’approvazione del rendiconto.

Sono legittimi comportamenti come:

  • L’accantonamento di utili in previsione di possibili debiti risarcitori (Cass. 4454/1995).

  • Il rinvio della distribuzione per reinvestimento degli utili (Cass. 2899/2012).

Gli acconti sugli utili sono ammessi anche prima dell’approvazione del rendiconto, purché non compromettano il patrimonio sociale (Cass. 38259/2009). Tuttavia, la distribuzione è consentita solo in presenza di utili realmente conseguiti. Se si intacca il capitale sociale, si configura una distribuzione mascherata vietata dalla legge, con possibili implicazioni penali per gli amministratori (art. 2627 c.c.).

Inoltre, il prelievo di utili non maturati rappresenta un debito nei confronti della società (Cass. 6365/2016).

Infine, il reddito viene imputato ai soci:

  1. In proporzione ai conferimenti (in via presuntiva);

  2. Secondo quanto previsto nel contratto sociale;

  3. In parti uguali se i conferimenti non sono determinati.

È nullo ogni patto che esclude un socio dalla partecipazione ad utili o perdite (art. 2265 c.c.).



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